LA DOTTRINA DELLA TRASMIGRAZIONE NEL CRISTIANESIMO E NEI MONOTEISMI ABRAMITICI (di Gianluca Marletta)

 


LA DOTTRINA DELLA TRASMIGRAZIONE NEL CRISTIANESIMO E NEI MONOTEISMI ABRAMITICI

(di Gianluca Marletta)

La dottrina della trasmigrazione (che spesso è identificata, non del tutto correttamente, con la cosiddetta reincarnazione) è diffusa, benché a partire da prospettive e linguaggi differenti, pressocchè in tutte le Tradizioni spirituali dell’umanità. Le uniche, singolari eccezioni sembrerebbero essere proprio le due grandi Tradizioni universali di origine abramitica e mediorientale, ovvero il Cristianesimo e l’Islam.

PERCHE’ I MONOTEISMI ABRAMITICI NON CONTEMPLANO LA TRASMIGRAZIONE? RAGIONI PEDAGOGICHE E ANTROPOLOGICHE

Il motivo di questa mancanza può essere spiegato con ragioni strettamente pedagogiche e antropologiche: i due grandi Monoteismi si rivolgono essenzialmente alle masse dei tempi ultimi, le quali sono le più refrattarie alla metafisica e le meno adatte a comprendere la complessità spirituale del Reale. Pertanto, soprattutto nel più ristretto ambito religioso rivolto potenzialmente “a tutti”, i Monoteismi si sono concentrati essenzialmente sulla necessità della Salvezza individuale: ciò che va compiuto come dovere religioso va compiuto qui e ora e le nostre scelte devono essere considerate definitive; eventuali speculazioni su esistenze precedenti o successive a quella presente sarebbero distrazioni non solo inutili ma addirittura pericolose.  

Naturalmente, escludendo la verità della Trasmigrazione, i Monoteismi se da un lato preservano l’essenzialità e la semplicità pubblica di un messaggio religioso, dall’altra rischiano di assolutizzare concetti teologici che, alla lunga, mostrano tutti i loro limiti di comprensione del Reale.

E’ così che i Monoteismi possono postulare, ad esempio, l’eternità degli “stati infernali”, dottrina che, se presa alla lettera, sarebbe una vera e propria impossibilità metafisica. Se gli inferni fossero “eterni”, infatti, bisognerebbe immaginare che una scelta limitata e compiuta nel tempo possa avere una conseguenza infinita (quindi non solo provvisoria, come insegna la dottrina orientale del Karma); peggio ancora, implicherebbe che una libertà assolutamente condizionata e limitata come quella di un semplice individuo umano possa avere un valore assoluto.

Beninteso, le Tradizioni orientali o quelle pre-cristiane, (che parlavano ancora ad un’umanità più vicina “alle origini” e quindi naturalmente più portata ad una visione metafisica del Reale), non negano affatto l’esistenza di stati infernali o paradisiaci: la differenza è che tali stati non possono in alcun modo essere considerati come eterni, perché ogni stato “condizionato” è, per definizione, limitato.

Per questa ragione, tuttavia, agli occhi degli stessi uomini moderni in ricerca, le dottrine dei Monoteismi abramitici possono apparire a volte come “semplicistiche” e persino banali, specie a confronto con l’immensa speculazione metafisica di tradizioni come l’Induismo, il Buddhismo ma anche delle stesse filosofie pre-cristiane come il Platonismo. E tuttavia, questa apparente limitatezza ha, come detto, una funzione provvidenziale: si tratta letteralmente dello “spezzare il pane” ad un’umanità ultima che è, per definizione, la più “povera di spirito”.

Al tempo stesso, tuttavia, in una società come quella attuale contraddistinta da uno scambio spesso parossistico e disorientante di informazioni, è divenuto necessario, almeno per alcuni, attingere alle conoscenze delle Tradizioni “altre” per definire una visione del Reale più completa e quindi poter anche proseguire il proprio cammino religioso a partire da una visione più “credibile” e ampia di quella che può essere offerta da una semplice prospettiva “catechistica”.

LA TRASMIGRAZIONE NELL’EBRAISMO

Curiosamente, la dottrina della Trasmigrazione apparentemente assente nel Cristianesimo e nell’Islam è pacificamente accettata nell’Ebraismo. All’apparenza, tale dottrina avrebbe pochi agganci letterali con il testo della Torah ma i maestri rabbinici, almeno a partire dai testi scritti medievali, affermano che essa è dottrina orale tramandata direttamente “accanto” alla dottrina scritta. Del resto, affermano i maestri ebraici, anche le dottrine della Resurrezione dei Corpi e dell’avvento del Messia non sono esplicitate nella Torah benché facciano parte della dottrina di fede ebraica (e, per inciso, siano condivise anche dagli altri due Monoteismi).

Se la Gheenna (ovvero lo stato infernale) è provvisorio, è evidente che l’essere che non è giunto, per usare un termine cristiano, alla Salvezza, dovrà per forza di cose manifestarsi nuovamente in altri stati individuali.

La Trasmigrazione è presente specificatamente in tutta la tradizione della Qabbalà ed è particolarmente esplicitata nei testi dello Zohàr e del Bahìr. E’ la dottrina del Gilgùl Neshamòt ( גלגול הנשמות ‎), letteralmente “ciclo” o “ruota” delle anime. Ma, al di là di questo ambito più esoterico, tale dottrina è generalmente accettata dalla gran parte degli Ebrei ortodossi attuali, anche se, non essendoci qualcosa di simile ad un “catechismo ebraico”, le prospettive riguardanti la dottrina della Trasmigrazione non sono sempre univoche.

LA TRASMIGRAZIONE NELL’ISLAM

Nell’Islam, almeno a livello ufficiale, non sembra esserci traccia di una qualche dottrina trasmigrazionista. Anche nelle dottrine delle turuq, ovvero le confraternite esoteriche del Sufismo, tale dottrina non sembra essere presente se non, in qualche caso, lì dove non si evidenzi un prestito esplicito dalle Tradizioni orientali, specie da quelle del subcontinente indiano.

Il motivo di questa assenza risiede probabilmente nel fatto che, ancor più del Cristianesimo, l’Islam si definisca fin dalle origini come una religione aperta potenzialmente a tutti e finalizzata alla Salvezza, nella quale ogni altro elemento di conoscenza può essere percepito come pericolosa distrazione.

Tuttavia, esistono realtà minoritaria a margine della grande galassia dell’Islam – come i Drusi o gli Alawiti, diffusi nella regione della grande Siria e in Anatolia orientale – che accettano pacificamente la dottrina della Trasmigrazione, considerata coerente con la tradizione islamica. E’ quindi possibile supporre che la Trasmigrazione fosse inizialmente presente almeno a livello esoterico nell’Islam (quantomeno in quello shita dal quale sia gli Alawiti che i Drusi traggono origine).

LA TRASMIGRAZIONE NEL CRISTIANESIMO

Com’è noto, la dottrina della Trasmigrazione non è esplicitata nei testi canonici dei Vangeli ed è più o meno decisamente respinta dalle Chiese ufficiali (specie nel Cristianesimo occidentale). E tuttavia, molti indizi lasciano supporre che tale dottrina non solo fosse presente almeno in ambito apostolico ma che, almeno implicitamente, sia sottesa ad una lettura più profonda dei testi evangelici. D’altronde, il Cristianesimo nasce da un ambito ebraico nel quale, almeno da un certo momento in poi ma presumibilmente anche prima, la dottrina della Trasmigrazione era accettata.

Già nei libri deuterocanonici dell’Antico Testamento – non ammessi dal Canone ebraico ma riconosciuti in quello cristiano, sia cattolico che ortodosso) si trovano accenni interessanti alla dottrina trasmigrazionista. Il più esplicito fra i passi che si riferiscono alla preesistenza dell’essere – che non va confusa con l’anima individuale – si trova nel Libro della Sapienza, cap. VIII, 19-20:

Avevo avuto in sorte un’anima buona o piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia”.

L’autore – che la tradizione identifica con re Salomone – afferma di sé stesso di aver avuto in sorte un corpo senza macchia in quanto aveva già una “buona anima”. In questo passo, pertanto, è evidente l’idea di una “preesistenza dell’essere” e di una sua “qualità” precedente non solo alla nascita ma allo stesso concepimento del presente corpo fisico.

Nel Vangelo di Giovanni, cap. IX, 1, troviamo poi l’episodio, fin troppo esplicito, della guarigione del Cieco nato, nel quale gli Apostoli chiedono a Gesù: “Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?” La risposta di Gesù (Né lui peccò, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui), offre una spiegazione particolare per la condizione di quel singolo malato, ma non rifiuta in sé ciò che gli Apostoli hanno ipotizzato (ossia il fatto che il cieco nato potesse avere delle colpe – evidentemente compiute prima della presente nascita).

Un aspetto molto importante da ribadire, inoltre, è che quando il Vangelo parla dell’Inferno e della dannazione non utilizza mai il termine “eterno” – come poi in uso nelle traduzioni latine e occidentali – ma il concetto tradotto in greco con aionion [αιώνιον], che letteralmente indica un “eone”, ovvero un tempo lunghissimo o, in alcuni specifici casi un mondo (Cfr, San Paolo, Ebrei 11:3: “Per fede comprendiamo che i mondi [in greco αιώνας] sono stati creati dalla Parola di Dio”). È evidente, dunque, che la “perdizione” che riguarda gli esseri che non sono giunti alla salvezza in questa esistenza, pur essendo certamente un’eventualità temibile, non riguarda in alcun modo l’eternità ma solo un mondo (o un ciclo cosmico) o un tempo “indefinito” ma non certo infinito. Pertanto, alla luce della dottrina della Trasmigrazione, anche l’essere che é caduto in uno degli Inferni si rimanifesterà successivamente in altre forme, finché la Provvidenza non gli donerà, dopo indefinite esistenze inferiori, la possibilità di una nuova nascita in uno “stato centrale” (analogo a quello umano), dal quale egli potrà tentare l’Ascensione verso i Cieli.

 

 

 

Commenti

  1. Io credo che invece sia l’inferno eterno, perchè è un luogo dove satana, demoni e dannati SCELGONO di andare. Per quale motivo infatti, se io scelgo di non voler saperne di Dio e di intraprendere un cammino di salvezza, mi devo salvare? Posso rifiutare anche la misericordia in eterno, non la voglio, voglio stare per i cavoli miei. Infatti Pietro dice di Giuda: sta nel posto che lui si è scelto

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    1. Questo è un discorso che può avere una valenza solo da una prospettiva sentimentale e -comprensibilmente- a livello di pedagogia religiosa. Da un punto di vista metafisico, al contrario, è un non senso.
      Ogni scelta di un essere condizionato è sempre condizionata e mai assoluta. E se questo è vero per i "demoni" a maggior ragione per gli uomini, i quali vivono un'esistenza quasi del tutto condizionata da fattori esterni. Per fare l'esempio estremo - ma nemmeno tanto - milioni di esseri umani che nemmeno nascono in questo mondo sarebbero, per assurdo, esentati da questa "prova" che è la presente esistenza terrena.
      Questo tuttavia non crea alcun problema in un',ottica trasmigrazionista, perché persino il feto mai nato deve passare evidentemente da altri stati dell'essere e da altre nascite.

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    2. ma non c'è traccia nella
      bibbia di una scelta limitata dei demoni , anzi si dice che sin dall'inizio satana fu mentitore. Peraltro "costringere" una libertà umana a seguire la luce divina a forza di tentativi non risponde alla logica della libertà. Anche l'individuo non nato conserva la possibilità di scelta al momento della morte , la prova terrena completa non è necessaria per tutti , ma è necessaria la scelta (che può tranquillamente avvenire al momento della
      morte ). Aggiungo che la
      somiglianza divina dell'uomo potrebbe anche significare che l'uomo ha , nonostante i limiti , una capacità soprannaturale di scegliere autenticamente, o perlomeno Dio giudice perfetto può giudicare cosa avrebbe fatto quella persona se
      pienamente libera da condizionamenti e di conseguenza discernere il posto dovuto ...

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