QUANDO L’ULTIMO MONDO FU DISTRUTTO: ATLANTIDE, I GIGANTI E I NEPHILIM (di Gianluca Marletta)
QUANDO L’ULTIMO MONDO FU DISTRUTTO: ATLANTIDE, I GIGANTI E I NEPHILIM
Secondo miti diffusi in quasi tutte le culture del mondo (dalla Bibbia alla Grecia, dal Nord Europa alle Ande) vi fu un tempo (presumibilmente prima della fine dell'ultima glaciazione - 12.000 anni fa) in cui una stirpe straordinaria ragginse grandi poteri. Questi poteri non erano dati, come nel caso della nostra civiltà, dalla tecnologia profana, ma da una conoscenza profonda del mondo sottile e della magia. La protervia di questa stirpe, la superbia e il rifiuto del Divino condusse il mondo intero alla catastrofe: é l'ultima apocalisse, quella che ricordiamo come il Diluvio Universale. Un insegnamento che é anche un ammonimento per gli uomini d'ogni epoca: soprattutto per la nostra.
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Vi fu un’epoca in cui gli esseri umani raggiunsero uno sviluppo straordinario. Uomini potenti, giganteschi nell’anima e nel corpo, possedevano la conoscenza delle forze sottili e occulte della natura e le sfruttavano. La loro civiltà non era dominata dalla tecnologia grossolana come la nostra, ma dalla conoscenza dei ritmi profondi del creato: grazie ad essi, i “giganti” riuscivano a compiere opere straordinarie, a modellare la pietra per costruire muraglie impossibili, ad “evocare” le entità del cosmo per sottometterle al proprio servizio. Ma essi si votarono al potere fine a se stesso, sfidarono il Cielo e strinsero un patto con le potenze oscure dimenticando di essere nulla di fronte al Creatore. Il risultato fu di trascinare il cosmo intero in quella catastrofe che i pochi discendenti avrebbero ricordato come il Diluvio Universale.
“C’ERANO SULLA TERRA I GIGANTI…”
Nel libro del Genesi, capitolo VI, è scritto:
«Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. (…) C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male».
Nel
passo citato, oltre all’enigmatico riferimento a questi misteriosi “figli di
Dio” che si uniscono sessualmente alle “figlie dell’uomo” sul quale così tante
congetture sono germogliate [1], si parla anche dei
Giganti, termine che nella versione greca della Bibbia rende l’ebraico Nephilim[2].
Il passo è quello che introduce l’episodio del Diluvio universale:
implicitamente, sembra che la causa della perversione dell’umanità e della
conseguente catastrofe stia proprio nelle vicende contenute in questo passo e
nella presenza di questi enigmatici Giganti.
Se il Genesi accenna solo di sfuggita a tali misteriose figure, molto più esplicito è il Libro di Enoch: un testo considerato apocrifo dalla maggior parte delle Chiese cristiane [3] (solo la Chiesa Copta Etiope l’ha inserito nel canone biblico) ma tenuto comunque in gran conto specie nell’Oriente slavo, greco e siriaco.
Nel Libro di Enoch, si elaborano
gli accenni già presenti in Genesi VI: i Nephilim, ossia i Giganti, sarebbero frutto
dell’unione tra angeli e donne umane; questi angeli avrebbero iniziato gli
uomini alle arti della metallurgia ma anche della magia e degli incantesimi. La
presenza dei Giganti avrebbe introdotto una disarmonia nel cosmo e una generale
perversione nell’umanità che sarebbe stata risolta con la catastrofe del
Diluvio. Questi esseri, infatti, sarebbero caduti nell’empietà, posseduti da
una ricerca ossessiva del potere e da un utilizzo senza limiti della magia, fino
a degradarsi nel cannibalismo verso gli altri umani.
Anche
nella tradizione ellenica, i Giganti e i Titani – la cui esistenza in questo
mondo è posta in un passato indefinito – manifestano caratteristiche analoghe
ai Nephilim biblici: tracotanza, hybris e spirito di rivolta verso il
Divino, intelligenza profonda e sinistra.
Nella
tradizione nordica norrena, gli Jǫtnar[4], i Giganti, sono visti
anch’essi come nemici degli dei e distruttori dell’ordine cosmico, anche se, a
differenza dei lori simili biblici ed ellenici sembrano maggiormente incarnare
le forze brutali della natura e mancano invece delle caratteristiche
sinistramente “geniali” presenti in altre tradizioni.
Analogie
sorprendenti con i Giganti biblici si ritrovano, al contrario, agli antipodi
del Medio Oriente, nella regione delle Ande peruviane. Tra le comunità andine [5], ancora oggi, si tramanda
il mito dei giganti primordiali le cui caratteristiche sarebbero la lussuria,
il cannibalismo e gli straordinari poteri magici di veggenza. Per distruggerli,
la Divinità avrebbe, secondo alcune versioni, scatenato un Diluvio d’acqua o,
secondo altre, un Diluvio di fuoco.
A
tali Giganti primordiali – detti anche Gentiles dalle popolazioni andine
– vengono spesso attribuite le costruzioni degli enormi edifici megalitici che
costellano la Cordigliera delle Ande: strutture che sfidano ancor oggi la
moderna ingegneria e che, secondo tali tradizioni, non sarebbero altro che
l’estrema testimonianza di questa razza straordinaria e maledetta.
“C’ERA UN’ISOLA CHIAMATA ATLANTIDE”
Capire
cosa si celi dietro questi racconti, a quali eventi storici (o meglio
preistorici) si riferiscano non è facile. Nel caso dei miti del Diluvio e dei
Giganti, è estremamente probabile che il riferimento cronologico più diretto
sia alla catastrofe seguita alla fine dell’ultima glaciazione, quella di Würm (che
ha avuto luogo tra i 10.000 e i 12.000 anni fa), e che ha portato
all’innalzamento del livello del mare di decine di metri con la sommersione di
milioni di chilometri quadrati di terra in tutto il mondo.
Al
di là della “storicità” dell’evento, che testimonianze archeologiche sempre più
numerose fanno pensare sia avvenuto in un’epoca nella quale erano già sorte
grandi culture “megalitiche”[6], i miti del Diluvio e dei
Giganti sembrano soprattutto riproporre un archetipo perenne: l’essere umano ha
già raggiunto più volte uno sviluppo complesso il cui esito è stato, tuttavia,
quello di sconvolgere l’ordine del mondo trascinando nel caos e nella
distruzione un intero ciclo di civiltà.
Il
ricordo di tali eventi, trasfigurato dal mito, ha costituito per secoli un
ammonimento a non infrangere i limiti che la Divinità stessa ha posto nella
natura e nell’uomo. Infrangere tali regole insite nella natura stessa delle
cose – quello che i Greci chiamavano hybris, la “violenza contro
l’ordine divino – non può che condurre il cosmo alla catastrofe. E l’uomo con
lui.
Da questo punto di vista, il mito dei Giganti e del Diluvio ha innegabili analogie con il racconto platonico di Atlantide.
La vicenda è universalmente nota e ha
ispirato per secoli letterati, poeti, esploratori e ricercatori. Nei dialoghi
del Timeo e del Crizia, Platone racconta di essere venuto a
conoscenza di una «storia strana ma vera» che il suo avo Solone avrebbe
raccolto dalla viva voce dei sacerdoti di Sais, in Egitto, quasi due secoli
prima. Atlantide sarebbe stata una meravigliosa isola posta al di là delle
Colonne d’Ercole, in un’epoca che noi moderni faremmo coincidere con la fine
del Pleistocene. Li sarebbe sorta una civiltà potente, una grande nazione
marinara, favolosamente ricca e signora incontrastata del Mediterraneo fino
all’Egitto e all’Etruria. Atlantide viene descritta come una terra ricca di
risorse naturali: il legname, le pietre e i metalli preziosi abbondavano, come
gli alberi da frutta, gli ortaggi e le erbe. Imponenti montagne la riparavano
dai venti del nord, animali selvatici e domestici, tra cui gli elefanti, la
popolavano. Dieci “sovrani”, discendenti da Poseidone, regnavano sulle dieci
regioni in cui era divisa l’isola, collaborando tra loro in armonia. Dalla
terra di Atlantide, passando di isola in isola, sarebbe stato possibile
giungere ad una grande terra posta al di là dell’Oceano (l’America?).
Tuttavia, la rovina di Atlantide e della sua grandezza avrebbe avuto origine, ancora una volta, dal cuore degli uomini, a causa della corruzione dei suoi abitanti. Dapprima nobili e giusti, col tempo gli Atlantidi si sarebbero trasformati in brutali aggressori, avidi di potere e di desiderio di assoggettare gli altri popoli. La loro fine sarebbe stata decretata dagli dei stessi: una fine ancora una volta catastrofica, dove gli elementi naturali intervengono a porre fine ad una stirpe un tempo nobile e d’origine divina e adesso divenuta maledetta.
«Essendosi succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte (...) tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola di Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve» (Timeo)
La perenne maledizione degli uomini, dimentichi della loro più alta vocazione divina, si ripete. La libidine del potere, l’ossessione del dominio, la corruzione dell’anima, la hybris, si riflettono sui ritmi stessi del mondo: e anche in questo caso è l’elemento acquatico – insieme ai terremoti – a mettere fine ad un ciclo di civiltà. E talmente grande è l’analogia tra il mito di Atlantide e i racconti del Diluvio, che molti vi hanno visto in realtà un riferimento diretto.
Tutti questi miti, al di là degli intenti pedagogici dei
vari autori, si riferirebbero in sostanza allo stesso, catastrofico evento. Un
indizio cronologico, del resto, sarebbe presente nel racconto stesso tramandato da Platone,
quando si afferma che la sommersione di Atlantide avrebbe avuto luogo 9000 anni
prima. 9000 anni sommati ai 2500 che ci separano dall’epoca del filosofo
ateniese ci riportano, ancora una volta, alla fatidica età che pone fine
all’ultima glaciazione: tra i 12.000 e gli 11.000 anni fa.
Ma,
ancora una volta, al di là delle affascinanti suggestioni riguardanti il nostro
più remoto passato, il mito di Atlantide ci rimanda ad un contenuto perenne e
universale. Si dice che gli Antichi, al cospetto della deriva del nostro mondo,
avrebbero sicuramente riconosciuto i segni della “fine dei tempi”, del grande
inganno, dell’età oscura che precede la catastrofe apocalittica di un mondo. Ma
è certo che gli stessi Antichi non avrebbero esitato a vedere, nel nostro mondo
terminale, i segni di una perversione spirituale che nella loro cosmologia ha
già più volte trascinato l’umanità nell’abisso.
Ancor più che il ricordo di un remoto passato, il mito del diluvio e dei Giganti sembra essere, oggi più che mai, una profezia per il prossimo futuro.
[1] Presso una
parte degli esegeti ebrei e cristiani dei primi secoli, i “figli di Dio” che si
uniscono alle “figlie dell’uomo” rappresenterebbero i due popoli pre-diluviali
dei figli di Set e dei figli di Caino. I figli di Set, ancora partecipi di un
rapporto profondo col Divino, si sarebbero pervertiti unendosi alla stirpe
cainita segnando così un’altra tappa della degenerazione dell’umanità dopo la Caduta.
La tradizione che si rifà al Libro di Enoch, tuttavia, identifica
esplicitamente i “figli di Dio” con angeli veri e propri che si sarebbero uniti
a donne umane per istruirle riguardo alle “scienze nascoste” ma che, in tal
modo, avrebbero anche infranto l’ordine della creazione trascinando il mondo
nella catastrofe. Tra i Padri della Chiesa, l’interpretazione non è univoca e
se alcuni hanno ritenuto improbabile per non dire blasfema l’idea che esseri
angelici potessero unirsi sessualmente a donne umane, per altri questa
possibilità era reale (da un punto di vista metafisico, in effetti, un essere
angelico dovrebbe anche possedere “in sovrappiù” tutte le possibilità
inferiori). Inutile dire come questo passo sia stato interpretato, dagli
odierni ufologi, come testimonianza di contatti preistorici tra “esseri
extraterrestri” e umani terrestri: interpretazione che abbiamo ampiamente
discusso e criticato nel nostro saggio G.Marletta, UFO e alieni. Origine,
storia e prodigi di una pseudo-religione, Editrice Irfàn, Roma 2017.
[2] L’etimologia
di Nephilim (che la più antica traduzione greca della Bibbia dei
Settanta rende con il termine Giganti) è molto discussa. La radice
semitica nafal, che indica letteralmente l’atto del “cadere”, potrebbe
in effetti rimandare agli “angeli caduti”. Al tempo stesso, in lingue come
l’Aramaico, il termine naphil indica letteralmente un individuo
gigantesco. Una questione ancora più complessa è se il concetto di “gigante”
debba essere inteso letteralmente come essere di grande statura o non simbolicamente
come sinonimo di “potente” o di “tracotante”.
[3] Il Libro
di Enoch, tuttavia, è citato nella Lettera di Giuda Apostolo che fa parte del
Canone di tutte le Chiese cristiane d’Oriente e d’Occidente: «Profetò
anche per loro Enoch, settimo dopo Adamo, dicendo: Ecco, il Signore è venuto
con le Sue miriadi di angeli per far il giudizio contro tutti, e per convincere
tutti gli empi di tutte le opere di empietà che hanno commesso e di tutti gli
insulti che peccatori empi hanno pronunziato contro di Lui» (Gd. 14-15)
[4] Il
termine deriva probabilmente dalla radice proto-germanica *etunaz, col
significato di "mangiare", più specificatamente riferito al
cannibalismo, caratteristica che ritroviamo anche nei Giganti biblici.
[5] Cfr.
G.Marletta/M.Polia, Apocalissi. La fine dei tempi nelle religioni, Ed.
SugarCo, Milano 2008, pp. 239/242
[6] Lo
straordinario sito megalitico di Gòblekli Tepe, nel sud-est della Turchia,
risalente a quasi 12.000 anni fa, è un esempio ormai accettato anche
dall’archeologia “ufficiale” dell’esistenza di culture organizzate e complesse
molto precedenti le grandi civiltà conosciute.

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