"DOVE I CORPI SI SPIRITUALIZZANO E GLI SPIRITI SI CORPOREIZZANO". LA DOTTRINA DEL "MUNDUS IMMAGINALIS" NELLA TEOLOGIA SCIITA (di Gianluca Marletta)
(Dal saggio: G.Marletta, L'EDEN, LA RESURREZIONE E LA TERRA DEI VIVENTI, (Ed. Irfàn)
L’Iran (terra degli Arya, secondo etimologia), è una “terra di mezzo” straordinariamente importante da un punto di vista culturale e spirituale, in quanto vero e proprio “ponte” geografico tra “occidente” abramitico e monoteista e “oriente” indo-buddhista. Da sempre luogo di transito per i popoli e le idee, l’Iran è anche culla di una delle civiltà spirituali più importanti del Medio Oriente antico, il cui influsso si perpetua fino ad oggi anche nell’Islam locale.
Luogo d’elezione del primo Impero Universale, possibile terra d’origine dei Magi evangelici, l’Iran è anche il luogo in cui fiorisce una tradizione sapienziale di sconfinata ricchezza che, pur nell’ambito della più pura ortodossia dell’Islam sh’ita – sebbene spesso avversata dai “letteralisti”, ovvero dai teologi del kalam letteralista - ha saputo operare una sintesi dei più profondi elementi della precedente tradizione zoroastriana ed avestica, ma anche del platonismo e di certi aspetti della tradizione ebraica e cristiana.
Non è un caso, dunque, che proprio dall’Iran sh’ita ci giunga una delle più limpide e complesse riflessioni sul destino ultimo dell’uomo e sulla natura del mondo (o meglio, dei mondi) e soprattutto riguardo al tema della Resurrezione dei Corpi e della realtà del “mondo intermedio” che è l’argomento fondamentale del presente saggio. Di que sto tema, in particolare, si sono occupati i “filosofi” della cosiddetta “teosofia orientale” o shaykhita, che ha per centro la contemplazione del mundus immaginalis, il Mondo Intermedio, posto tra quello dello Spirito e quello della materia più grossolana, opera conosciuta in Occidente grazie al lavoro dell’orientalista francese Henri Corbin.
Si tratta di una riflessione fiorita in un ambito particolare del mondo islamico iraniano, ma il cui respiro metafisico e la cui coerenza cosmologica può essere, per così dire, riconosciuta universalmente da chiunque abbia una visione sacra della realtà, confermando e arricchendo le intuizioni che sono alla base di questo nostro saggio.
IL "LUOGO" DELLE TEOFANIE E DELLE VISIONI PROFETICHE
Nella tradizione islamica, come abbiamo ricordato in precedenza, la dimensione intermedia è chiamata anche col termine Barzakh, che in arabo indica il concetto di “luogo di mezzo”, “intercapedine” e anche, in senso lato, di “discrimine”. Nell’accezione che qui ci riguarda, il Barzakh è il “luogo” – né “materiale” né puramente spirituale - dove si collocano, tra gli altri, gli stati post-mortem dell’anima; ma è la gnosi sh’ita iranica quella che più di tutte approfondisce l’importanza e la funzione del Mondo Intermedio nella cosmologia.
La gnosi sh’ita chiama il mondo intermedio Hurqalya o “mondo dell’Ottavo Clima”, dimensione “dove si corporizzano gli spiriti e si spiritualizzano i corpi”. Come afferma Shaykh Ahmad Ahsa’i: "Tra i due mondi (quello spirituale e quello materiale “grossolano”, n.d.a.) deve essercene necessariamente uno intermedio, un barzakh […]. Se un tale universo mancasse ci sarebbe un salto, ci sarebbe uno iato nella gradazione dell’essere." È questo un mondo (o meglio una galassia di mondi) che essendo ancora “esteriore” rispetto al puro mondo spirituale e divino (il Malakuth) è dotato di estensione e di possibilità di percezione e, purtuttavia, è proprio il Mondo Intermedio che permette alla Dimensione Spirituale di “manifestarsi”, di prendere forma e di comunicarsi al di fuori di sé.
Nella riflessione degli gnostici iranici, infatti, è proprio in Hurqalya che hanno luogo le grandi manifestazioni teofaniche presenti nei testi sacri e nelle biografie di santi e profeti: “eventi” che hanno una loro reale “consistenza” fisica e temporale ma …di un tempo e di uno spazio “qualitativi” e non quantitativi.
È in Hurqalya che hanno luogo tutti quegli eventi biblici e coranici che una critica profana e moderna tenderebbe a vedere come “mitici” e puramente “simbolici” (intendendo naturalmente questi termini come sinonimi di irrealtà ed evane scenza); è in Hurqalya che Mosé vede Dio, che Muhammad ascende ai Cieli dalla roccia di Gerusalemme ed è in questo “luogo” che avvengono la creazione dell’Eden e la caduta di Adamo, così come le battaglie e gli eventi descritti nell’Apocalisse.
Ma Hurqalya è anche il “luogo” dove tutte le azioni e i pensieri degli esseri lasciano il loro segno, siano essi buoni o malvagi, e dove ogni uomo costruisce la sua esistenza post-mortem, il suo Inferno o il suo Paradiso.
DOVE L'IMMAGINAZIONE DIVENTA CORPO
L’aspetto più affascinante della riflessione sh’ita sulla realtà del mondo intermedio risiede, tuttavia, nell’importanza attribuita al po tere dell’”immaginazione”. Henry Corbin, per trasmettere il senso di questa dottrina in una lingua occidentale, indica il mondo di Hurqalya come mundus immaginalis, Mondo Immaginale, precisando tuttavia che l’espressione non ha alcuna sfumatura psicologistica ma indica al contrario una realtà concretissima, quella che gli alchimisti chiamano Imaginatio Vera, molto più vicina alla facoltà volitiva e all’”intenzione” profonda che alla “fantasia” in senso terreno.
Così, ogni nostra azione, pensiero o intenzione ha una ricaduta reale sul Mondo Intermedio: "ciascuno di noi, volens nolens, è l’autore di accadimenti in Hurqalya, sia che essi falliscano, sia che fruttifichino nel suo paradiso o nel suo inferno". Ciò che dunque l’essere “ritroverà” nel Mondo Intermedio dopo la morte fisica non è altro che ciò che lui stesso ha già “seminato” nella sua esistenza terrena: lì in Hurqalya, ogni nostro pensiero, azione o intenzione, prende letteralmente forma, senza alcun possibile infingimento, ed è lì che avviene il “giudizio individuale”. Nel Mondo Intermedio avviene anche la “purificazione” delle anime “salvate”: quello stadio post-mortem che nell’Islam ha l’inquietante nome di “supplizio della Tomba”, ma che non è altro che il “luogo” dove il defunto “rende conto di sé” per giungere successiva mente alla Resurrezione del Corpo.
Gli gnostici iranici intendono questa purificazione come una vera e propria putrefatio alchemica, dolorosa ma che sola permette all’anima di riscoprire se stessa, ovvero di divenire ciò che realmente è.
IL VERO SENSO DELLA "RESURREZIONE DEI CORPI" E LA CONDIZIONE EDENICA
La purificazione della Tomba, per ovvi motivi, non può essere identica per tutti gli esseri, ma alla fine essa conduce a quell’evento (che è dogma sia nell’ Islam che nel Cristianesimo) detto della Resurrezione dei Corpi. Ma è proprio su questo punto così delicato che la gnosi sh’ita prende le distanze dai letteralismi riduzionistici che vedrebbero in questo evento una presunta “rianimazione” o mera ricostruzione del corpo caduco e terrestre. In realtà, secondo la gnosi sh’ita, l’essere umano è il composto di due corpi “fisici” (jasad) e di due corpi astrali o anime (jism): dei due corpi fisici, quello grossolano è destinato a dissolversi nella materia terrestre, così come anche il più “basso” dei due corpi astrali (che è costituito da elementi accidentali che hanno per messo la manifestazione terrena dell’essere, ma che non hanno alcun rapporto con la sua Personalità esattamente come la sporcizia – per riprendere una metafora degli gnostici sh’iti - non ha alcun rapporto con un abito usato).
La Resurrezione è, in realtà, una vera e propria opera alchemica in cui il corpo (sottile) e l’anima vengono purificati e trasmutati fino a giungere alla perfezione delle loro potenzialità: da questo punto di vista, per usare un’espressione evangelica, "neppure un capello del vostro capo perirà" ma tutto viene trasfigurato.
Il Corpo di Resurrezione, dunque, è un corpo reale, con una sua estensione, ma esso non è tratto dalla terra grossolana di questo mondo, ma dalla “terra di Hurqalya”, la Terra Vera, di cui la nostra attuale è solo una manifestazione opaca e limitata, la stessa “Terra” da cui fu tratto il corpo perfetto di Adamo.
Il Corpo di Resurrezione non è una semplice “metafora”: esso è la bianca veste splendente, destinato ad abitare la Terra Vera che poi non è altro che l’Eden, che anche per la tradizione sh’ita, quindi, non è affatto identificabile con nessun luogo della geografia profana. Il Corpo di Resurrezione è, per usare un’espressione dello Shaykh Ahmad Ahsa’i, “allo stesso tempo spirituale e sensibile, spirituale sensibile”.
Il Paradiso individuale e personale non esclude, tuttavia, quello che nella tradizione islamica è indicato come il Ridwan, il Paradiso dell’Es senza, ovvero lo stato sovra individuale e puramente trascendente dell’unione con Dio. Lo stesso Paradiso, pertanto, non è che il punto di partenza verso l’Infinità Divina.



Commenti
Posta un commento